Crisi – Istat: Potere d’acquisto ai livelli del ’95, consumi alimentari come nel 1981
Sui conti pubblici l’Italia è in linea con i parametri europei. Per il resto, l’Europa della ripresa, seppur gracile, si allontana ulteriormente dal nostro Paese. Lo rileva l’Istat nel rapporto sui conti economici relativi al 2013 ….
Sui conti pubblici l’Italia è in linea con i parametri europei. Per il resto, l’Europa della ripresa, seppur gracile, si allontana ulteriormente dal nostro Paese. Lo rileva l’Istat nel rapporto sui conti economici relativi al 2013. L’Istituto nazionale di statistica sottolinea come il rapporto tra indebitamento netto e prodotto interno lordo, senza operazioni straordinarie, nel 2013 è stato pari al 2,8%. Vale a dire lo 0,1% in meno che nel 2012 e lo 0,2% sotto la soglia fissata dalla Commissione Ue. Al vincolo del 3% come limite vitale per la sopravvivenza degli Stati e dell’Eurozona, però, non credono più nemmeno gli economisti, come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, maggiormente attenti all’ortodossia finanziaria e al rigore dei bilanci pubblici. Purtroppo, però, sul fronte dell’economia reale il nostro Paese continua ad avere il fiatone. Anzi, è in un sempre più pericoloso debito d’ossigeno. Il potere d’acquisto delle famiglie italiane, tenuto conto dell’inflazione, è diminuito l’anno scorso di un ulteriore 1,1%, scendendo al livello complessivo più basso dal ’95 a questa parte. I tagli ai consumi alimentari hanno condotto questa spesa primaria addirittura ai livelli del 1981. Pur rimanendo la seconda voce per le famiglie italiane (dopo la casa), la spesa media annua italiana per cibi e bevande è calata a 1.683 euro: fatto il cambio con l’allora vigente lira, esattamente lo stesso livello di 31 anni fa. Dati che spiegano la compressione della quota di profitti delle imprese, rimasta quasi ferma al 39,7% su base annua con gli investimenti al 19,7%, in diminuzione dello 0,3% rispetto al 2012. Nonostante la cospicua diminuzione del potere d’acquisto, le famiglie italiane hanno ripreso a risparmiare, forse perché non hanno fiducia nel futuro, pensano che sarà ancora peggio del presente e preferiscono rimandare o azzerare i consumi pur di tenersi qualcosa da parte. La propensione media al risparmio, infatti, è salita al 9,8% sul reddito contro l’8,4% del 2012, il più basso livello dal ’95 (nel ’96 raggiunse un picco del 20,1%). Se continuano a scendere le disponibilità reali degli italiani, non cala però la voracità del fisco, che appare sordo a ogni emergenza. Nel 2013 la pressione è rimasta al 43,8% raggiunto nel 2012, con il picco trimestrale del 51,5% dell’ultimo quarto di anno.